Un'opera, dunque, dalla controversa paternità, ma sufficientemente assegnabile a Marco Cardisco (1486c. - 1542c.), considerandone le matrici umbro-laziali che in linea di massima ben si accordano, «nel fondamento, sia al Perugino che a Raffaello» (Fig. 7).

Nel 1785 la Dormitio Virginis, fu trasferita nell'attuale Cattedrale dove - a lungo depositata in sacrestia - fu riattata «nella cappella di S. Anna [...], quale sopraporta della parete sinistra» di fronte al tumulo di mons. Francesco Antonio de Luca, vescovo di Tursi e Anglona, arcivescovo di Nazareth, morto nel 1676 «alla cui virtù e memoria il fratello Didaco e il nipote Marcello» dedicarono sia la macchina tombale, sia l'altare - sovrastato al centro del dossale - da un dipinto di Carlo Rosa da Bitonto, raffigurante la Sacra Famiglia con S. Anna e S Gioacchino. Un tema che il maestro trattò sovente, fino a replicarlo in maniera meccanica e palmare, tanto da renderlo in alcuni casi un «mero esercizio scolastico»: lo appuriamo dal confronto diretto tra la tela molfettese e le due Sacre Famiglie della Cappella Rogadeo di Bitonto e della Biblioteca Comunale di Palo del Colle.

Tuttavia va precisato che la tavola della Dormitio Virginis c'è giunta, purtroppo, priva della parte sommitale su cui correva un'iscrizione che mons. Pompeo Sarnelli, vescovo di Bisceglie, trascrisse nella Visita del 1699, come poi fece mons. Giovanni degli Effetti nel 1704. Perché l'esame paleografico del testo avrebbe potuto aggiungere qualcosa di più sulla cronologia del dipinto. Ciò nonostante, con meticolosità viepiù notarile il promemoria del Sarnelli non si ferma alla descrizione della icona mariana («totam ex tabulis constructam deauratam positam a parte posteriori [...] tabernaculi eucharistici»), giacché restituisce il quadro complessivo della zona del presbiterio, indugiando sull'antico altare ligneo e sul relativo corredo scultoreo irrimediabilmente votati alla rovina con l'arrivo a Molfetta dell'Assunta e Santi del Giaquinto.

(Fig. 7) Marco Cardisco (attr.) Dormitio Virginis Molfetta, Cattedrale, Cappella di S. Anna.


A questo corredo, «supponendo di far cosa che possa riuscir gradita ai [...] lettori», fa riferimento Antonio Salvemini in una pagina di storia patria del 1878, seguito - non proprio a ruota da Pietro Amato (2002): un altro studioso del luogo, sulla cui credibilità scientifica intendiamo soffermarci in altra sede prima che, sul centenario giaquintesco cali il sipario. Intanto, solo qualche anticipazione: i riscontri «davvero sorprendenti» a cui allude l'Amato dopo aver appreso dal Salvemini quel che serviva per una più consona «conoscenza dell'altare demolito» nel Duomo Vecchio, per prassi non vanno oltre la semplice ricognizione bibliografica che è alla base di ogni ricerca storica. Ancora una volta però, la documentazione ostentata a garanzia dei suoi risultati è marginale, compilativa e quel che è peggio già pubblicata da altri in modo esimio.

Si rileggano, ad esempio, i punti topici della Visita pastorale di mons. Sarnelli e nello specifico la trascrizione riguardante l'assetto dell'«Altare Maius [...] positum in capite illius ad Orientem», consacrato «sub titulo Beate Marie Virginis in Caelum assumpte»: uno dei tantissimi resoconti di prima mano indagati e collazionati da Mariagiovanna di Capua tra le fonti e i documenti dati alle stampe quindici anni fa in un volume sulla Nuova Cattedrale di Molfetta (1988). Stralcio di seguito i passi in grado di restituire maggiore visibilità alla nostra questione, partendo dai simulacri posti sulla destra della Dormitio Virginis:
Eodem latere dextero Simulacri dicte Beate Marie Virginis [...] dicte Ecclesie habentur statua lignea colorata Principis Apostolorum [...] habentis claves ecclesie in eius manibus, in cuius peide adsunt sculpita insigna Illustrissimi Domini Maiorani olim Melphictensis episcopi [...] et a latere sinistro alia statua Divini Pauli Apostoli epsem manu dextera habentis, ac in pede insignia Magnifice Universitatis huius Civitatis relevantia fasciam in medio palme ex transverso [...], unde ascenditur ad Ciborium alias descripta in cornu evangelii adest statua lignea integra similiter deaurata Sancti Corradi Civitatis Patroni eremitica forma insculpti cum palio siciliceo eremitico, diademate in capo. Rosarii corona in manu dextera, baculoque inninitus in sinistra in cuius basi similiter deaurata habentur sequens inscriptio Sanctus Corradus. Et in cornu epistule altera consimilis statua rapresentans effigem Divini Nicolai Barensi Pontificalibus vestibus induti cum Mitra in capite, baculo Pastorali sinixstra manu tenentis, dextera vero Breviarum ac super eo tres aurei pomi, ut comuniter depingi solet, cum sua basi, ubi legitur Sanctus Nicolaus.
Di conseguenza, va da sé chenella paladell'Assunta - una volta aggiunto, -a devozione di mons. Salerni, il S. Antonio da Padova «con tonsura monacale» - Giaquinto recupererà e insieme rigenererà il repertorio santoriale che da secoli dotava il vecchio altare. Ragion per cui si presume, anzi si dovrebbe dare per scontato il fatto che le figure di S. Pietro e di S. Paolo, con quelle di
S. Nicola di Bari patrono della Provincia e di S. Corrado patrono della Città, facevano parte dell'antico programma iconografico, che obbediva a precisi canoni cultuali [...] della chiesa diocesana di Molfetta. Pietro, con le chiavi in mano, [...], seguito da Paolo, di cui si vede il volto e la mano che impugna la spada, strumento del suo martirio. S. Nicola, in vesti liturgiche e con l'attributo suo specifico delle tre sfere, [...]. S. Corrado con tunica bianca e pallio eremitico, secondo quanto aveva stabilito il vescovo Francesco Marini il 9 gennaio 1669 [...], trattiene con la sinistra il 'lenzuolo' e guarda la Vergine [...]; in basso gli attributi della sua provenienza regale: la corona e lo scettro.
Niente di più, quindi, che un'esercitazione scolastica su un tema iconografico, trito e ritrito in margine al più documentato tra i dipinti molfettesi di Corrado. Il resto, sempre per amore di verità intendiamo affidano alle stampe in un secondo momento, perché molti rimangono i dubbi, gli interrogativi, le ipotesi che accompagnano l'operato del maestro e che, tuttora, esigono risposte più congrue. Soprattutto per quanto concerne gli anni che precedono il suo trasferimento a Roma (marzo 1727). Esattamente vent'anni prima che fosse eseguita l'Assunta e Santi, che il pittore - «dopo l'esemplificazione dello stemma episcopale del Salerni» -firmò e datò sul lato postico della tela con l'orgogliosa conferma della sua origine molfettese (FABRITIUS ANT: SALERNUS/ EPUS MELPHICTEN/ 1747/ CONRADUS GIAQUINTUS MELPHICTI PICTOR) (Fig. 8).

(fig. 8) La firma del pittore già visibile sul lato postico dell'Assunta e Santi.


Una Molfetta che, dalla Città Eterna al Piemonte, da Napoli alle Marche, da Cesena alla Spagna
Corrado portò sempre nel cuore evocandone le luci dorate sottocosta in primavera dai rosa corallo dell'alba e dagli azzurri cobalto del vespero. Quasi a carpire il segreto dei colori liquidi e trasparenti, festosi e tersi non meno del cristallo di rocca, anche quando la tempesta prende il sopravvento sul sereno tra squarci di cielo e di mare; tra […] campiture sempreverdi, [...]; tra colori adriatici e «venezianeschi» in grado di suffragare la favola del mito e la vitalità della fede [...], ammantando di volta in volta eroi omerici e virgiliani, putti ancora in fasce ed angeli adolescenti, santi e satiri con ninfe e Vergini senza Tempo.

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